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Trovato il dna del vicino di casa sotto le unghie di Lauretta Toffoli

La donna di 74 anni fu trafitta da 39 colpi. Sull’arma del delitto le tracce di entrambi

L’ultimo messaggio importante Lauretta Toffoli se l’è portato nascosto sotto le unghie.

A decifrarlo è stato Nicola Gravina, commissario della Polizia scientifica di Milano che ieri la pubblica accusa ha chiamato a deporre davanti ai giudici della Corte d’assise.

Sue le analisi dei campioni biologici prelevati sul corpo della 74enne uccisa la notte tra il 6 e il 7 maggio del 2022 nel suo appartamento di via Della Valle 4.

Quelli prelevati all’indice, al medio e all’anulare della mano destra e al medio di quella sinistra rimandano al profilo genetico della vittima, come è naturale che sia, ha spiegato il biologo, ma anche all’imputato, il vicino di casa Vincenzo Paglialonga. Risultanze che l’accusa mette in relazione con le lesioni individuate sul suo volto.

A repertarle, l’8 maggio, fu Matteo Dri specializzato in Medicina legale che sulle tempie, sugli zigomi e sull’arcata sopracciliare di Paglialonga ne individuò sei di forma arcuata e semilunare «compatibili – ha commentato – con segni tracciati da unghiate».

Le immagini dei segni sono state esaminate in aula, unitamente a un’ecchimosi sul labbro inferiore e a un paio di striature all’emitorace e al braccio sinistro dell’imputato. «Ferite recenti – ha riferito il medico – che non si erano cicatrizzate».

Ed è stato ancora il corpo di Lauretta a testimoniare in aula l’atrocità della propria morte per voce del professor Carlo Moreschi, medico legale che il 7 maggio intervenne nell’appartamento della donna per effettuare l’esame esterno e che, quattro giorni più tardi, eseguì l’autopsia. Ben 39 le lesioni da punta e da taglio che la trafissero.

O meglio, 38 più una, diversa dalle altre e, proprio per questo, degna di essere esaminata a parte. Colpi inferti al viso, al petto, al collo, alle cosce, sferrati da chi le stava di fronte, ma in qualche caso anche alla schiena, con un’arma compatibile con il coltello sequestrato a casa di Paglialonga.

Difficile stabilirne l’esatta sequenza, alcune ferite erano superficiali, forse inferte quando Lauretta poteva ancora gridare per chiedere aiuto ed ergere come estrema barriera davanti a sé le mani, trafitte da numerosi tagli.

E poi i fendenti che la raggiunsero al collo causando la lesione della carotide, sia a destra che a sinistra, e ancora, uno di quelli che affondarono nel torace provocando anche una frattura alle quarta e quinta costola originando lesioni polmonari e al miocardio fino a provocare uno shock emorragico e, quindi, la morte. Un’agonia che durò due forse tre interminabili minuti, durante i quali lei lottò sotto quei colpi.

Tutti meno uno: quello inferto sul retro del ginocchio con un’azione ripetuta, quando ormai Lauretta, quasi certamente non respirava più, quasi che qualcuno avesse cercato di amputarle la gamba per occultarne il corpo.

Arduo anche fissare l’ora della morte di Lauretta, che aveva consumato il suo ultimo pasto almeno da 3 o 4 ore. Troppe le variabili che ancorano la finestra temporale fra le 22 del 6 e le 4 del 7 maggio.

Risposte precise, intanto, sono arrivate dagli esami effettuati sui numerosi reperti sequestrati. L’arma del delitto in primis: sul manico sono stati trovati i profili genetici di Paglialonga e della vittima, misto quello isolato sulla lama, dove dono identificabili solo le tracce del sangue di Lauretta, presenti anche su un interstizio e sui calzini insanguinati riposti sulla lavatrice di Paglialonga, dai quali emerge un profilo maschile non identificato.

Non sono però riconducibili a Paglialonga i campioni biologici prelevati dalla cintura di cuoio, intrisa del sangue della vittima, trovata in casa di Paglialonga sulla quale c’è un dna maschile, né quelli prelevati agli angoli della stuoia sulla quale fu adagiata e poi trascinata la donna, dove la presenza di cellule epiteliali rimanda ad almeno due soggetti maschili, ma non a Paglialonga.

Tracce riconducibili a lui e alla vittima, invece, ritornano nei guanti in lattice e a una saponetta rinvenuti sulla scena del crimine.

Pubblicato su Il Messaggero Veneto