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Mattarella posa la corona di fiori in via Caetani. Il monito contro il terrorismo: “Mai più stragi. Il rispetto nutre la democrazia”

Celebrato questa mattina al Quirinale il Giorno della Memoria per ricordare i caduti del terrorismo

Nove maggio, anniversario del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, Giornata della memoria di tutte le vittime del terrorismo e delle Stragi. Anche stavolta i familiari delle vittime e le più alte cariche dello Stato si ritrovano in un salone del Quirinale per ascoltare le parole di Sergio Mattarella. Che sono inequivocabili: «La Repubblica – dice il Capo dello Stato, rievocando i terribili Anni di Piombo – ha saputo produrre i suoi anticorpi, ben sapendo che un clima di scontro violento, parole d’odio, l’avversario trasformato in nemico da abbattere, costituiscono modalità patologiche della contesa politica che, oggi come allora, vanno condannate e respinte con decisione».

La Repubblica intera, quindi gli organi dello Stato, ma soprattutto il popolo, la politica, il movimento sindacale, l’associazionismo. Dice Mattarella con parole amare e allo stesso tempo riconoscenti: «Si è molto parlato negli ultimi decenni dei terrorismi e dei terroristi. Della loro vita, dei loro complici, delle loro presunte ideologie, delle cause che han fatto da base alla loro scelta di lotta armata. Delle gravi deviazioni compiute da elementi dello Stato, e per le quali avvertiamo ancora l’esigenza, pressante, di conoscere la piena verità. Su questi argomenti esistono molti studi, numerose pubblicazioni, tante trasmissioni televisive, anche di interesse e pregio. Meno si è, invece, scritto e parlato della reazione unanime del popolo italiano. Meno dei servitori dello Stato, che hanno posto a rischio la propria vita per combattere violenza ed eversione. Meno di chi, nelle fabbriche, nelle università, nei vari luoghi di lavoro, ha opposto un no, fermo e deciso, a chi voleva ribaltare le regole democratiche».

E le vittime? Coloro, come ricordato da Benedetta Tobagi a nome di tutti i familiari, che devono fare i conti con un dolore pubblico che per loro è anche privato, intimo? Alle famiglie delle vittime, il Capo dello Stato rivolge con la sensibilità di chi a sua volta è porta il lutto di vittima della mafia: «Ancor meno – dice quindi il Presidente – si è parlato del dolore, indicibile e irrecuperabile, delle famiglie a cui la lotta armata o i vili attentati hanno strappato un coniuge, un figlio, un genitore, un fratello o una sorella. Eppure sono state queste persone, non i terroristi, a fare la storia italiana. A scriverne la parte decisiva e più salda. A esprimere l’autentico animo della nostra società e non la sua patologia. A costituire un patrimonio collettivo di memoria e di esempio per tutte le generazioni».

La giornata del Nove maggio, come di consueto, è cominciata con la deposizione da parte del Presidente della Repubblica di una corona di fiori in via Caetani davanti alla lapide che ricorda il sacrificio dell'onorevole Moro. È evidente che la sua morte oscura un po’ tutte le altre. Ma Mattarella ci tiene a ricordare che se sono ben 400 le vittime del terrorismo e delle stragi in Italia, tutti sono parimenti importanti e meritano un ricordo rispettoso. Vittime di destra come di sinistra. E le vittime per caso. Perciò ha messo in fila, come in una litania civile, i caduti di decenni diversi. «Ricorre quest’anno il cinquantesimo della morte dell’agente di polizia Antonio Marino, di appena 22 anni, già ricordato da Benedetta Tobagi, ucciso con una bomba a mano a Milano da appartenenti al gruppo neo-fascista “la Fenice”. Nello stesso 1973 morirono, bruciati vivi nel rogo di Primavalle, Stefano e Virgilio Mattei, di 22 e 8 anni, figli di un esponente del Movimento Sociale Italiano, alla cui casa fu appiccato il fuoco da esponenti di Potere Operaio. A maggio dello stesso anno, avvenne per mano anarchica la strage davanti alla Questura di Milano, che costò la vita a Felicia Bartolozzi, di 60 anni; a Gabriella Bortolon, di 23 anni; a Federico Masarin di 30; a Giuseppe Panzino, di 63; provocando inoltre 52 feriti. Quarant’anni fa, nel gennaio del 1983, le Brigate Rosse rapirono la vigilatrice del reparto femminile del Carcere di Rebibbia, Germana Stefanini, uccidendola con un colpo alla nuca dopo un processo farsa. Il mese dopo, sempre a Roma fu ucciso l’attivista del Fronte della Gioventù, Paolo Di Nella, colpito alla testa mentre stava affiggendo manifesti per chiedere l’espropriazione di Villa Chigi: un omicidio ferocemente rivendicato da Autonomia Operaia».

Erano anni di delirio ideologico. Di logica del nemico da abbattere. Però il Presidente non nasconde che ci furono complicità anche dentro lo Stato e ricorda la «giovane Repubblica che si è trovata a fare i conti con il terrorismo politico; con le stragi, talvolta compiute con la complicità di uomini da cui lo Stato e i cittadini avrebbero dovuto ricevere difesa; con la violenza politica, tra giovani di opposte fazioni che respiravano l’aria avvelenata di scontro ideologico».

E ha concluso, Mattarella, citando Aldo Moro, guardando alla nostra storia recente ma con un occhio al presente: «E’ stata – come Moro auspicava - la reazione morale del popolo italiano a fare la differenza, nella lotta ai terrorismi e all’eversione, facendo prevalere la Repubblica e la sua legalità. Un popolo che, nella sua stragrande maggioranza, ha respinto le nefaste velleità di chi avrebbe voluto trascinare l’Italia fuori dal novero delle nazioni libere e democratiche».

Pubblicato su Il Messaggero Veneto