Rocco Schiavone indaga in Friuli nel nuovo giallo di Antonio Manzini
“Il passato è un morto senza cadavere” ambientato anche a Udine e a Cividale. Il popolare vicequestore alla prese con cjarsons e museto con la brovada
Scrive parecchio il signor Antonio Manzini — attore e romanziere di gran successo — e il suo Rocco Schiavone lo fa procedere velocemente: il caso Paolo Sanna è intricato come una selva oscura e ci servono 564 pagine per dare una risposta a una abbondante sovrapposizione di domande lungo un percorso piuttosto impervio che scende da Aosta e raggiunge il Friuli. Il vicequestore c’era già stato a Cividale nell’episodio tivù “Prima che il gallo canti”, evidentemente l’autore ha una simpatia per le nostre terre o gli vien comodo ambientare le scorribande del suo poliziotto in Loden e Clarks in provincia di Udine. Sai tu.
È il libro più venduto della settimana “Il passato è un morto senza cadavere” (Sellerio editore) secondo la più attendibile delle classifiche letterarie. È in libreria da metà ottobre e sa ancora d’inchiostro fresco.
Oddio, la vicenda è assai macchinosa. Va a gambero nel tempo, si scontra col presente, gioca a nascondino con parecchi personaggi che si mescolano fra loro e, a volte, spariscono. Come una donna verso la quale il nostro ebbe degli slanci intimi.
Quel che ci interessa da vicino è un’accurata visita di Rocco e compagnia bella in terra friulana, perché è proprio a Udine che un gruppo di uomini — in qualche modo legati alla morte del ciclista Sanna speronato durante una pedalata in montagna — vestirono la casacca dell’esercito nel 1989: 120° Battaglione fanteria Fornovo a Premariacco, sciolto nel 1991. Chiedete a qualunque maschio italiano, ora un tantino attempato, dove ha fatto il servizio militare: vi risponderà in Friuli. Almeno nove su dieci.
Quello che potrebbe benissimo apparire come un banale incidente su due ruote, per Schiavone non lo è affatto. Il morto era piuttosto ricco, e vabbè, la sua vita terrena è stata segnata da continui spostamenti, o forse sarebbe più corretto chiamarle fughe, insomma non si tratta di una sbandata casuale, bensì di un delitto senza dubbio alcuno.
Il vicequestore, si scopre da un flashback, fu un aviere con una discreta collezione di insubordinazioni, e non è difficile da immaginare.
Detto ciò, torniamo al caso Sanna. Il questore Costa dice di avere un cugino pezzo grosso a Udine: «Semmai servisse per velocizzare le indagini», informa Rocco. E si arriva così all’udinese comando militare. Il famoso battaglione di cui sopra era «a Ipplis di Premariacco», puntualizza il colonnello Greco.
Manzini piazza una polveriera a Erbacore, sopra Cividale. Ma stavolta lo scrittore se lo inventa il paesino dove il povero Sanna fece il soldatino alla fine degli Ottanta.
Insomma, ricapitolando, per risalire all’assassino del cicloamatore tocca sporgersi sul passato e seguire le tracce di un gruppuscolo di persone. E viene l’ora di pranzo: il cameriere dell’albergo a Schiavone e ai suoi offre i cjarsons «ravioli tipici nostri», spiega. «Li prepariamo conditi al burro e alla farina di mais e sono ripieni di patate, cipolla, ricotta fresca, cacao, frutta secca, maggiorana e timo». Alternativa? Il risotto allo sclopit. Ma l’agente Casella si lancia: «Io provo ‘sto museto (musetto?) con la brovada».
A Erbacore ci sta un bar tabacchi con sul bancone una scritta: «Fasìn il scont sol ai novantans cun la cumpagnie dai genitoris».
«Cent e cincuante mil euros par une cjase», dice un tizio con la barba a un altro che aveva appena messo giù un asso di bastoni. «Non stà a lâi daûr che al è mat spacât… cent cincuante mil euros», e si fece una risata.
Il barista saluta la compagnia: «I siôrs vuelino di bevi? Vin? Caffè?».
«No hablo tu idioma», risponde Rocco.
Il dialogo fra loro e un terzetto di estranei vira poi sulle caserme friulane dismesse. «Darle ai contadini», interviene un uomo brizzolato che mischiava le carte, «a chi lavora la terra e ha bisogno di depositi, dioplevàn».
Diciamo che Manzini ha ben inquadrato l’habitat paesano con un paio di tratteggi visto che i dialetti (o lingue che dir si voglia) compaiono spesso nei noir, leggi Montalbano, più che in un solo accenno. Ormai negli ultimi Camilleri il siciliano è quasi totalizzante.
Non manca neppure un salto nella slovena Izola, «un piccolo comune a dieci minuti da Capodistria». Ora resta da capire il motivo di questa nuova immersione di Rocco nell’estremo Nord-Est.
Il Manzini, però, tace.
Pubblicato su Il Messaggero Veneto