Omicidio Tulissi, la lettera di Calligaris dopo l’appello della madre dell’ex compagna: «Chi più di me vorrebbe conoscere la verità sulla morte di Tati»
L’imprenditore di Cividale, oggi 54enne, è accusato di aver ucciso Tatiana, la sera dell’11 novembre 2008, con tre colpi di pistola sull’uscio della villa di Manzano dove abitavano
Pubblichiamo la lettera che Paolo Calligaris, l’imprenditore di Cividale oggi 54enne accusato dell’omicidio di Tatiana Tulissi, l’allora compagna uccisa all’età di 36 anni con tre colpi di pistola sull’uscio della villa di Manzano dove abitavano, la sera dell’11 novembre 2008, ha inviato al nostro giornale, dopo l’appello che la madre della vittima, Meri Conchione, ha rivolto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affinché sia fatta luce e giustizia sul caso.
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Scrivo con riferimento all’articolo apparso mercoledì 9 ottobre sul vostro giornale, per dire che rispetto il dolore di una madre e la sua ansia di giustizia. Chi più di me vorrebbe conoscere la verità sulla morte di Tati e trovare il vero colpevole. Tati e io ci amavamo. Non eravamo in crisi. Eravamo felici. Non abbiamo mai avuto un litigio neanche verbale.
Due giorni prima dell’11 novembre del 2008 avevamo visto suo fratello, che la ricorda felicissima del weekend passato con me a Sappada. La ricorda serena e felice anche la sua collega di lavoro, il giorno in cui è stata uccisa, e anche le sue care amiche.
Quella sera dovevamo andare a trovare sua sorella, occasione per stare insieme. Eravamo molto legati alla sua famiglia. Non è vero che non volessi avere un figlio da Tati tanto che mi sono fatto un esame proprio per questo.
Quale poteva essere il movente di questo tragico assassinio? Mi sono spaccato la testa per trovarlo. In questo buio, dove sono piombato, ho visto un po’ di luce quando è stato arrestato due anni fa, dopo un lungo periodo in carcere, un uomo, che in una rapina aveva usato un bastone nella mano destra e una pistola nella mano sinistra.
Era la stessa tecnica usata per una serie di rapine in ville della zona, simili alla nostra che, lo voglio precisare, non ha mai avuto in funzione una telecamera di sorveglianza attiva.
Il rapinatore si era presentato in queste ville con un bastone e una pistola, che sono le stesse armi usate per uccidere Tati. Allora sì, ho visto uno spiraglio di luce, ho creduto potesse finalmente venir fuori la verità. I carabinieri hanno creduto che questa fosse la firma del delitto e hanno cercato di trovare la pistola utilizzata da costui, ma erano ormai passati 14 anni!
Questa pista è stata archiviata in gran fretta, da quella stessa Procura che, ossessivamente e nonostante tutte le prove in mio favore, ha ritenuto e ritiene sia io il colpevole di questo orribile delitto. Sono sotto processo da sedici anni con un’imputazione per me dolorosissima, perché è morta la persona che amavo.
La mia posizione, dopo che era emersa la mia innocenza, era stata archiviata nel 2011. Nel 2015, dopo 7 anni, un nuovo pubblico ministero ha riaperto l’indagine e senza alcuna prova nuova ha ottenuto la mia condanna, ma in Appello, dopo un processo lungo e articolato, sono stato assolto da una giuria popolare, che ha considerato che la testimonianza della mia vicina non potesse riguardare per nulla i colpi di pistola.
La Cassazione ha annullato quella sentenza, ritenendo che non fosse motivata bene, mandandola al giudice di Venezia. A Venezia, con un processo frettoloso, è stata riconfermata la mia condanna a sedici anni. Una condanna piena di falsificazioni della realtà, tanto che la Cassazione ha annullato quella sentenza e ne vedremo le motivazioni quando verranno depositate.
Quella tragica sera io ero tornato dal lavoro e ho trovato Tati esanime, ho cercato di soccorrerla come potevo, ma invano. Da innocente ho sempre collaborato con gli inquirenti, pensando che questi effettivamente volessero trovare il colpevole. So bene che non è questo il luogo per rifare il processo, ma so che sono innocente e considero una persecuzione quel che mi è accaduto e mi accade. E sono il primo che vorrebbe fosse fatta giustizia.
Pubblicato su Il Messaggero Veneto