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Renzi parla in aula sulla morte di Giulio Regeni: «Verità di comodo e troppe omissioni dall’ateneo inglese»

L’ex premier sentito dai pm che indagano sulla morte del ricercatore friulano. «Al Sisi mi disse che da padre capiva il dolore dei genitori»

«Fin da subito non abbiamo accettato una verità di comodo per un efferato delitto. Non abbiamo fatto come Francia o Inghilterra. Gli inglesi, in particolare, non hanno detto tutta la verità» . Nel processo per la morte di Giulio Regeni che vede imputati a Roma quattro 007 del Cairo, è stato il giorno di Matteo Renzi, presidente del Consiglio quando il ricercatore fu trovato privo di vita in una strada che collega la capitale con Alessandria d’Egitto dopo essere stato torturato e poi ucciso, tra il gennaio e il febbraio del 2016.

La ricostruzione dell’ex premier

Rispondendo alle domande del procuratore della Capitale, Francesco Lo Voi, Renzi ha ricostruito quanto avvenne in quei drammatici giorni. «Io vengo informato il 31 gennaio dalla Farnesina – ha affermato davanti ai giudici della prima Corte d’assise di piazzale Clodio –. Mi dissero che qualcosa era accaduto, qualcosa di grave, ad un nostro ricercatore».

La notizia era già nota agli apparati da alcuni giorni. «Ogni giorno scompaiono dieci cittadini italiani nel mondo ma per la maggior parte si risolvono. La rilevanza politica mi arriva il 31 gennaio – ha dichiarato l’ex premier – e mettiamo subito in campo tutti i nostri strumenti, arrivando anche a ritirate il nostro ambasciatore».

L’indicazione della farnesina

Renzi ricorda che «c’era crescente preoccupazione da parte degli apparati che, come è fisiologico, erano già a conoscenza di quanto avvenuto». Per l’ex inquilino di palazzo Chigi, comunque, «se dal 26 al 31 gennaio la Farnesina ha ritenuto di “tenere bassa” una vicenda così complessa vuol dire che fece le sue valutazioni».

Renzi non ha negato che se gli fosse stato «chiaro da subito» quanto accaduto «avremmo potuto mettere in atto qualcosa in più». «Se ci fosse stata allerta rossa nulla avrebbe impedito all’ambasciatore di chiamarmi, aveva il mio numero di cellulare» ma l’Italia in questa «tragica storia non poteva fare di più». Renzi ha rivelato di avere avuto un colloquio telefonico con al Sisi pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio.

«Gli dissi che saremmo andati fino in fondo e che era una vicenda inaccettabile e chiedemmo la totale collaborazione ma non sono mai entrato nel merito delle indagini. Lui mi disse che da padre capiva il dolore dei genitori e della famiglia» di Regeni.

Il confronto con Al Sisi

L’ex premier in quei mesi ebbe quattro colloqui telefonici con il presidente egiziano. «Lo volli poi incontrare al G20 in Cina nel settembre del 2016 e gli palesai la mia delusione. Noi non accettavamo verità di comodo come quella che l’Egitto ci diede nel marzo di quell’anno» e il riferimento è alla banda di rapinatori accusati della morte di Giulio che per la Procura di Roma rappresenta uno dei tanti depistaggi confezionato dalle autorità egiziane.

«Non abbiamo messo le relazioni diplomatiche davanti alla morte di un cittadino italiano – afferma l’ex premier – ed è chiaro che la morte di Regeni è avvenuta per mano egiziana. Gli inglesi, a mio avviso, non hanno detto tutta la verità e mi riferisco all’università inglese che avrebbe dovuto collaborare di più. Io chiesi all’allora primo ministro Theresa May massima collaborazione».

Minniti: «Finte verità»

Nel corso dell’udienza è stato sentito anche Marco Minniti, all’epoca dei fatti sottosegretario con delega ai servizi. Per l’ex ministro dell’Interno, che venne allertato il 31 gennaio, i depistaggi, come quello dei finti rapinatori, furono «un modo per darci una finta verità, un metodo già usato con altri stranieri uccisi in Egitto che aveva funzionato. Fu un modo per coprire i Servizi egiziani. Il mio convincimento è che sono stati gli apparati egiziani ad uccidere Giulio e gli imputati sono i responsabili».

I genitori di Giulio: «Doloroso»

Per i genitori di Giulio è «grave e doloroso il fatto che una comunicazione dell’ambasciata italiana del 28 gennaio in cui si chiedeva la massima attenzione sia rimasta evidentemente su qualche tavolo e non abbia consentito di attivare tutte le forze che servivano per salvare Giulio. Questo provoca molto dolore».

Pubblicato su Il Messaggero Veneto