Il poeta e il suo mostro: Oscar Wilde si confronta con l’uomo elefante
L’ultima opera dello scrittore e drammaturgo Furio Bordon. Un confronto tra il letterato e un fenomeno da baraccone
“La vita è la prima e la più grande delle arti”, e ancora “meglio essere protagonisti della propria tragedia che spettatori della propria vita.”. Due celebri aforismi, di cui Oscar Wilde fu generoso dispensatore, nei quali è racchiusa la parabola esistenziale di questo grande scrittore ed esteta, un dandy raffinato e provocatorio che alla fine fu vittima proprio della sua stessa grandezza, della sua stessa voglia di stupire e brillare fino a trasformare quello che doveva essere un capolavoro d’arte, la sua esistenza, in una tragedia di solitudine e squallore, in disgrazia a se stesso e al mondo.
Dopo aver infatti spadroneggiato nei salotti di mezzo mondo, ricercato, vezzeggiato anche criticato, ma sempre in primo piano, sempre protagonista, Wilde finì miseramente i suoi giorni in esilio volontario a Parigi, dopo i due anni di lavori forzati nella prigione di Reading, dove fu rinchiuso per la sua scandalosa storia d’amore con il giovane lord Alfred Douglas, sicuramente la più appassionata e devastante tra le tante che ebbe.
Il che segnò profondamente il futuro di Wilde, che a causa di quel processo perse tutto, patrimonio, fama, con le sue opere messe al bando. A far rivivere quegli ultimi malinconici e diseredati anni: Il poeta e il suo mostro, un libro prezioso di Furio Bordon, da poco in libreria per i tipi della Sellerio editore, nella collana La memoria, dove erano già apparsi, sempre di Bordon, Il canto dell’orco e A gentile richiesta. Romanzi forse passati sin troppo ingiustamente in sordina ma non per questo meno validi, di scrittura cristallina e raffinata e di avvincente lettura nei quali il talento narrativo dello scrittore triestino si rivela altrettanto solido e convincente dei suoi lavori teatrali, primo fra tutti quelle Ultime lune, che dopo l’interpretazione di Marcello Mastroianni, ha avuto e continua ad avere numerosissime messe in scena in tutto il mondo.
In questa sua ultima fatica Bordon immagina Wilde in condizioni precarie che nel suo vagabondare per Parigi si lascia attrarre da uno scalcinato teatrino da fiera, dove un uomo dal buio del palco gli dice di aver recitato ne Il ritratto di Dorian Grey la parte principale quella del ritratto e della sua trasformazione in mostro. E allora gli si svela, è Joseph Merrick, l’uomo elefante che con le sue deformità divenne nell’Inghilterra vittoriana una celebrità da baraccone. Senza porsi questione alcuna Wilde si abbandona a un fitto scambio di confidenze, nel quale entrambi si aprono l’uno all’altro rivangando il passato e i fatti più salienti delle loro vite. In particolar modo Wilde che si sofferma a lungo sul processo che lo ha portato alla rovina. Ma chi veramente si cela dietro le deformità di Merrick, che all’epoca dell’incontro con Wilde era già morto? Un giovane, anche lui in esilio a Parigi, che ha ben conosciuto Wilde e con il quale, smessi i costumi del deforme, intesse un dialogo altrettanto incalzante fatto di aperture e accuse, denunce reciproche e disarmate confessioni.
Con questo che ha tutto il fascino di un bel colpo di teatro, Bordon porta definitivamente il lettore dentro una sorta di seducente rappresentazione: li vedi come in scena questi due personaggi tanto vivo è il dialogato, fluido, necessario, mai banale dentro l’anima di questi personaggi veri (che tutto quanto scritto, a parte la cornice dell’incontro tra i due, è frutto di precisa documentazione) che hanno sfidato il mondo, rincorrendo il “mostro” che ha mosso il loro sentire e il loro agire. Un “mostro” al quale infine soccombere, come Wilde, che senza rinunciare a perseguire, pur in tanta desolazione, quella bellezza che tanto l’ha ossessionato nelle fattezze del giovane Alfred, la trova infine nella figura di Cristo, “la più pura di tutte le opere d’arte.
E come ogni grande opera d’arte non vuole insegnare nulla, ma può cambiare il cuore di un uomo col suo solo manifestarsi.” Una battuta che dice il senso profondo di questo libro imperdibile sull’umanità negata di chi insegue l’autenticità del suo vivere e viene per questo punito dalle convenzioni e dalle ipocrisie della società.
Pubblicato su Il Messaggero Veneto