Ecco i codici dell’amore e del rispetto per tutte le donne. E non solo
Si può fare, essere donne per le donne, alleate nel lavoro e non inutilmente rivali. Donne per uomini finalmente educati alla libertà, maturi nel comprendere che si può essere lasciati, vivendo la perdita come possibilità di riscatto, non come terribile leva per l’esercizio di vendette orribili, destinati a creare nuovi lutti e nuovi orfani
Un vestito rosso finalmente segno della libertà dell’amore, non del sangue che porta alla morte. Si può cambiare verso a una storia crudele. Gloria ce l’ha fatta, ha denunciato, ha superato la paura, segregata e violentata, ha reagito, riconquistando l’orizzonte della libertà.
Ha trovato un giudice equo, un avvocato non maschilista, sollecitato la maturità di un corpo collettivo spesso sordo al cambiamento.
«Sono un milione e 500mila le donne che subiscono violenza, ventimila denunciano, quante ne escono vive?» si chiede Agnese Scappini, psicanalista e psicologa del lavoro, che racconta l’esperienza di Gloria, che ha seguito da vicino, come tanti altri casi di sopraffazione e violenza.
Nella sua testimonianza riassunta in un video che sta facendo il giro del web, c’è il dramma e la speranza, la rabbia e l’orgoglio di una consapevolezza che fa ben sperare, anche se il quotidiano rimane lastricato di fatti incresciosi, che ancora offendono il nostro essere donne e uomini, la nostra dignità di esseri pensanti.
La storia di Gloria è quella di tante donne cui un rapporto tossico ha tolto ossigeno e libertà.
Difficile riemergere dall’abisso se non si trova la forza di capovolgere vecchi stereotipi, se non si parla, se non si riscopre che gli uomini, buoni e cattivi, sono tutti figli di donne, madri, che hanno generato la vita.
La donna è l’essenza, l’origine, come scriveva Pirandello, l’uomo è la maschera, la forma, la finzione, l’inautentico, la sovrastruttura. Occorre ritrovare quella verità, che diceva Omiccioli è “nel cuore della madre, anche se non ce ne siamo accorti in tempo” si rammaricava il grande pittore del Novecento. Anche noi commettiamo lo stesso errore, smarriamo il senso dell’origine, confondendo amore e possesso, dono e schiavitù.
L’amore può essere più forte, se articolato con linguaggio autentico. Il coraggio serve per denunciare, la ragione per ritrovare il dialogo almeno per tentarlo, la comprensione per riannodare i sentieri interrotti di “una umanità che non sa essere umanità”.
Le donne devono riscoprire anche il valore dell’alleanza. Come fece Lisistrata, protagonista della celebre commedia di Aristofane, che propose alle altre compagne di negare qualsiasi attenzione ai maschi combattenti, allo scopo di fermare quella guerra nel Peloponneso, che stava assumendo le sembianze di un conflitto lacerante, che stava spossando la Grecia antica.
Anche oggi si può fare, essere donne per le donne, alleate nel lavoro e non inutilmente rivali. Donne per uomini finalmente educati alla libertà, maturi nel comprendere che si può essere lasciati, vivendo la perdita come possibilità di riscatto, non come terribile leva per l’esercizio di vendette orribili, destinati a creare nuovi lutti e nuovi orfani.
L’abbraccio di ogni madre può vincere la violenza, diventando l’icona di una stagione di un tempo fecondo, scandito da un canone che non contempla la violenza e la morte.
Imparare a praticare i codici dell’amore autentico, della giustizia e del rispetto, per arginare il male, sanando il sacrificio del corpo e la morte dell’anima, è l’augurio per un 8 marzo autenticamente rivoluzionario
Pubblicato su Il Messaggero Veneto