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Iran: condannate a 13 anni per aver raccontato l'assassinio di regime di Masha Amini

Chi sono Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi, voci libere in un Paese imbavagliato

Seguirono il caso di Masha Amini, la giovane iraniana arrestata e poi uccisa dalla polizia religiosa perché indossava male il velo e perché di fatto mostrava una ciocca di capelli e ora la pagano cara, con dure condanne. Le autorità di Teheran hanno condannato rispettivamente a 13 e 12 anni di carcere due giornaliste iraniane, Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi, con l'accusa di aver collaborato con gli Stati Uniti sul caso di Mahsa Amini e di aver agito contro la sicurezza nazionale. Lo rende noto l'agenzia di stampa Irna citando la sentenza emessa da un Tribunale della rivoluzione iraniana.

Vari i capi di imputazione. «Hanno ricevuto rispettivamente sette e sei anni ciascuno per aver collaborato con il governo ostile degli Stati Uniti. Poi cinque anni ciascuno per aver agito contro la sicurezza nazionale e ciascuno un anno di prigione per propaganda contro il sistema», ha riferito l'Irna. Gli avvocati delle giornaliste hanno respinto tutte le accuse, mentre l'Irna spiega che le sentenze possono essere appellate.

Hamedi è stata arrestata dopo aver scattato una foto ai genitori di Mahsa Amini, abbracciati in un ospedale di Teheran dove la loro figlia giaceva in coma: la ragazza è stata per tre giorni priva di sensi, dopo le percosse delle autorità, prima di spegnersi, il 16 settembre 2022. Mohammadi è stata invece arrestata dopo aver seguito il funerale di Amini nella sua città natale curda, Saqez, dove sono iniziate le proteste. L'agenzia di stampa Mizan precisa che il tempo che le due giornaliste hanno già trascorso nel carcere di Evin verrà sottratto al periodo di detenzione previsto dalla sentenza.

La curdo-iraniana Mahsa Amini, di 22 anni, è morta a settembre dello scorso anno dopo essere stata arrestata dalla polizia morale con l'accusa di aver indossato male l'hijab. La sua morte ha scatenato le proteste, in Iran e non solo e ha dato vita al movimento “Donna, vita e libertà” che ha portato avanti manifestazioni contro il regime a livello nazionale e che ha anche sensibilizzato l’opinione internazionale contro le dure regole religiose dell’Iran. Le donne del Paese arabo hanno iniziato a dire no all’imposizione del velo che copre capo e spalle, hanno mostrato i capelli come simbolo della loro libertà: lo hanno fatto per strada, insieme o in casi isolati, o anche sui social, filmando. E alcune pagando di nuovo con il carcere la loro libertà di esprimersi.

La giornalista Niloofar Hamedi, 29 anni, che si occupava da tempo di diritti delle donne, andò in ospedale per verificare di persona cosa fosse successo alla giovane Amini. Incontrò i genitori al suo capezzale poco dopo che la ragazza era stata dichiarata morta e scattò loro una foto, senza sottostare all'imposizione delle autorità iraniane di non pubblicare nulla riguardante quel caso. Lei non ascoltò e, per documentare quello che da subito era parso come un pestaggio da parte della polizia e non un infarto come dicevano le autorità, pubblicò su Twitter quel simbolico scatto. E' stata arrestata sei giorni dopo, il 22 settembre, e il suo account Twitter è stato sospeso: cospirazione e ribellione contro la sicurezza nazionale, oltre a propaganda anti-nazionale erano le due principali accuse.

Elaheh Mohammadi è stata arrestata anche lei nel settembre del 2022, pochi giorni dopo aver coperto per il suo giornale, Ham-Mihan, i funerali della ragazza uccisa dalla polizia morale e dopo aver documentato anche l'attacco degli stessi agenti alla funzione. E' stata incarcerata il 29 settembre. Tra l'altro, fu arrestata e condannata ad alcuni mesi di reclusione anche sua sorella Elnaz, giornalista pure lei, per non precisate ragioni ma comunque per motivi collegati con le proteste originate dal gesto di Amini e dalla sua uccisione. Mohammadi nella sua attività professionale ha vinto vari premi, anche internazionali (in Canada per esempio) per le sua voce libera in una società che alle donne concede ben pochi spazi. Nel marzo 2023 ha anche ricevuto la cittadinanza onoraria di Ivrea, in Piemonte, segno tangibile di solidarietà mentre era rinchiusa nel carcere di Evin, rischiando anche la pena di morte per le sue azioni.

Pubblicato su Il Messaggero Veneto