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Uccise la vicina di casa: condannato all'ergastolo

Il delitto Toffoli a Udine, Paglialonga è stato ritenuto colpevole dell'omicidio della donna trovata morta dal figlio. Non è stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà

UDINE. È stato il vicino di casa Vincenzo Paglialonga, 42 anni, a uccidere la notte tra il 6 e il 7 maggio 2022 Lauretta Toffoli, la settantaquattrenne trovata morta dal figlio nel suo appartamento di via della Valle. A dirlo è la sentenza pronunciata nella tarda serata di venerdì 13 ottobre dalla Corte d’Assise di Udine, che ha condannato Paglialonga all’ergastolo (senza l’aggravante della crudeltà).

Le richieste dell’accusa

La sentenza pronunciata dal presidente della corte, il giudice Paolo Alessio Vernì (a latere il collega togato Paolo Milocco e i giudici popolari), accoglie in larga parte le richieste formulate nel corso della propria requisitoria dalla pubblico ministero Claudia Finocchiaro.

Il magistrato, che venerdì mattina ha parlato per oltre due ore in apertura dell’udienza, ha ricostruito le fasi che hanno portato all’omicidio della Toffoli, concentrandosi sugli spostamenti di Paglialonga tra il suo appartamento e quello della settantaquattrenne, ripresi dalla telecamera di una vicina, che lo stesso imputato oscurerà con un foglietto.

Il pm ha messo in fila gli elementi che inchioderebbero Paglialonga, che all’epoca si trovava ai domiciliari: i fotogrammi della videocamera, certo, ma anche le testimonianze del dirimpettaio della Toffoli (che ha raccontato di aver sentito distintamente l’anziana urlare «Aiuto, mi ammazza», con rantoli soffocati e sempre più flebili, «come se qualcuno le tappasse la bocca») e una persistente riluttanza di fronte le richieste degli agenti delle volanti che - intervenuti a seguito della manomissione del braccialetto elettronico - hanno dovuto attendere prima in strada («Un attimo, devo andare in cucina a bere») e poi alla porta, dopo aver suonato al campanello («Un momento, devo andare in bagno»), che Paglialonga aprisse cancello e porta di casa.

Minuti che, per l’accusa, sono serviti all’imputato a ripulirsi, a occultare prove potenziali dell’omicidio commesso. Prove che, dopo la prima perquisizioni, la polizia troverà proprio nell’appartamento del quarantaduenne di San Severo di Foggia: il coltello con cui Lauretta è stata colpita 39 volte e con cui Paglialonga avrebbe tentato, inutilmente, di fare a pezzi il cadavere della donna, era stato lavato frettolosamente; tanto frettolosamente che nell’incavo del manico sono state ritrovate tracce di sangue della Toffoli, oltre al Dna di Paglialonga e della stessa anziana.

E poi i calzini, trovati sopra la lavatrice, con tracce di sangue e Dna dell’anziana (ma non di Paglialonga). Pochi dubbi sul movente: la donna si sarebbe rifiutata di consegnare al vicino altro denaro, considerato il credito di 250 euro che vantava nei confronti di Paglialonga.

Ne è nata una discussione in due tempi, con la seconda diatriba «avvenuta senza soluzione di continuità con l’aggressione omicida». Il pm ha quindi chiesto per Paglialonga l’ergastolo e l’isolamento diurno per un anno e mezzo, contestando le aggravanti della rapina e della crudeltà.

Le parti civili

Di «elementi di prova infiniti» ha parlato l’avvocato Lorenzo Reyes, che tutela gli interessi del figlio della vittima, Manuel Mason, che ha chiesto 350 mila euro di risarcimento. L’avvocato Paola Cannata, difensore delle sorelle di Lauretta, Nella e Anna Toffoli (che hanno assistito in aula all’intera udienza), ha chiesto 120 mila euro per ciascuna delle proprie assistite, costrette a convivere «con un profondo stato di dolore e prostrazione», derivato dall’assassinio della sorella.

La difesa

Accorata la difesa di Paglialonga, rappresentata dagli avvocati Piergiorgio Bertoli e Carlotta Roiatti. Secondo quest’ultima l’imputato, una volta scoperto l’omicidio della vicina, avrebbe simulato una rapina, consapevole di essere un potenziale sospettato per l’omicidio.

«Istintivamente avrebbe tentato di pulire tutto, ma era una cosa non fattibile», ha evidenziato Rojatti.

Per oltre due ore ha parlato anche il collega Bertoli, che definito «totalmente illogica la versione del pm, in cui manca totalmente il movente: perché il nostro assistito avrebbe dovuto uccidere l’unica vicina che gli dava soldi e lo aiutava?».

Nel bagno di Paglialonga «è stata ritrovata una cintura, che non è dell’imputato e sulla quale non c’è il suo Dna, così come non c’è traccia sui calzini trovati sopra la lavatrice. Sono state fatte indagini in parte superficiali», ha evidenziato l’avvocato Bertoli, che ha richiesto l’assoluzione per Paglialonga, che nonostante le richieste della difesa è stato giudicato capace di intendere e di volere al momento del delitto.

Pubblicato su Il Messaggero Veneto