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Addio a Ettore Mo il “piccoletto” di Kabul che ha raccontato le guerre nel mondo

Il giornalista è morto a 91 anni: dalla Liberia all’Afghanistan aveva raccontato le atrocità della guerra

«Mi chiamavano il piccoletto» a Kabul. Ma lui era un gigante. In Afghanistan Ettore Mo che oggi ci lascia era davvero di casa. «Uno di loro», mi raccontava, perché «quando ero lì, pensavo come loro». Da giovane sognava di fare il direttore d’orchestra perché amava la musica, la lirica, l’opera e soprattutto perché si girava il mondo. Ed, infatti, finì anche per imbarcarsi sulle navi da barista. Viaggiava, viaggiava e viaggiando si ritrovò a raccontare il mondo delle guerre, delle atrocità, con un taccuino e una penna. Non poco, raccontava sempre, per uno che viene da Dagnente, il paesino sulle colline affacciate al lago Maggiore dove viveva da anni, in provincia di Novara. Dal salotto di casa sua partiva sempre da una data per raccontare, un po’ la fine o l’inizio di un nuovo mondo: 7 settembre del 2001. Quel giorno per Ettore Mo fu uno spartiacque imprescindibile tra la vita e la morte, tra il bene e il male. Lui che conosceva bene i movimenti, le azioni, e i traffici in Afghanistan capì subito che l’uccisione dello storico comandante Massoud avrebbe implicato, da lì a breve, conseguenze catastrofiche. La morte del “Leone del Panjshir” era qualcosa di molto più grande di un semplice attentato alla vita di un guerrigliero. Quattro giorni dopo, l’11 settembre. Quando Ettore Mo raccontava quei momenti il suo volto, sempre sorridente, diventava cupo non solo per i ricordi dei suoi storici incontri con il comandante Massoud ma perché non riusciva a darsi conto del fatto, che forse, mai nessuno si sia adoperato fino in fondo per evitare quell’immane tragedia dell’11 settembre.

Ora che Ettore Mo non c’è più ci restano i suoi scritti, i suoi racconti dalla guerra in Liberia, dall’Afghanistan dalla Cambogia o dal Nigaragua. Ma anche quelle piccole pennellate di colore che regalava ai borghi de giro d’Italia. «Una volta Montanelli mi disse che un giornalista per essere tale doveva raccontare il giro d’Italia, ecco perché ho deciso di seguire la carovana della festa di Maggio». Poche righe, ogni giorno, ad ogni tappa per raccontare le meraviglie ma anche gli abusi edilizi di quel lembo di stivale, che da “piccoletto” diventava gigante nel mondo. Come lui, Ettore Mo che partito «piccoletto» da Kabul era diventato un gigante del giornalismo.

Pubblicato su Il Messaggero Veneto