Suicida dopo il post su Facebook. La figlia: “Chi deve si vergognasse”. Oggi i funerali ad Afragola
Paolo Trimarchi aveva 61 anni, la moglie punta il dito: «Le autorità non lo hanno aiutato»
NAPOLI. «Avrei preferito un infarto o un malore improvviso, ma non questo… questo mi uccide. Chi deve si vergognasse». Arianna affida ai social la sua rabbia e il suo dolore. Suo padre Paolo, 61 anni, s’è tolto la vita qualche giorno fa perché schiacciato dall’angoscia di non riuscire a tirarsi fuori da una storia che gli aveva portavo via sorriso e serenità. Una storia che egli stesso ha raccontato in un angosciante post-testamento pubblicato sulla propria pagina Facebook (e poi rimosso) poche ore prima di raggiungere il posto di lavoro e impiccarsi.
Afragola, popoloso comune dell’hinterland a nord di Napoli, è sotto choc. Stamattina, nella basilica Sant’Antonio da Padova, Paolo Trimarchi ha ricevuto l’ultimo saluto tra le lacrime della moglie Maria e dei figli, che ancora non si capacitano di quanto accaduto. Al loro fianco il sindaco Antonio Pannone e i referenti dell'associazione "La Battaglia di Andrea” che si sono stretti attorno alla famiglia del 61enne. Paolo ha chiesto aiuto e sostegno per «la mia famiglia che amo disperatamente», le ultime volontà prima di compiere un gesto consapevolmente estremo ma a suo dire inevitabile: «Con il mio gesto vorrei fare capire a tutti che non si può vivere in questo modo. Preferisco farla finita anziché commettere atti che potrebbero compromettere la vita dei miei cari. Io non voglio andare in carcere, preferisco così», ha scritto su Facebook. Ma cosa ha spinto Paolo a uccidersi? Le ragioni del suo disagio le ha inanellate egli stesso in quel post che adesso fa il giro delle bacheche Facebook: nel 2018 sotto casa sua si aprì una vineria.
«Non riusciamo più a dormire. Si creano grossi gruppi di ragazzi che bevono e fumano cannabis, creando schiamazzi (…) Io e la mia famiglia viviamo con stati di continua ansia ogni volta che entriamo e usciamo di casa», ha raccontato Paolo. Il 61enne le ha provate tutte, ingaggiando pure un contenzioso legale che non ha risolto i suoi problemi ma li ha acuiti. Per tutta risposta, il responsabile della vineria lo aveva denunciato per stalking. Le spese da sostenere per l’avvocato hanno eroso le finanze di Paolo, che ormai doveva centellinare ogni minima uscita di denaro. A lavoro, poi, il pagamento dello stipendio pare non fosse mai puntuale. Altro motivo di angoscia. Paolo, infatti, ha raccontato di avere sollecitato più volte i titolari del negozio di abbigliamento dove era impiegato (all’interno di un grosso centro commerciale dell’area nolana) a rispettare le scadenze, ma invano.
Anzi, si era convinto, da alcune voci che gli erano giunte, che per via di quelle richieste fosse a rischio licenziamento. Una circostanza che ha fatto esplodere il suo malessere. Così, qualche giorno fa, Paolo Trimarchi è uscito di casa, ha raggiunto il posto di lavoro, si è infilato in magazzino e si è impiccato. Un finale drammatico per una storia incresciosa. Una storia per la quale la figlia Arianna e la moglie Maria gridano giustizia. «Mio marito è morto per colpa che non ha avuto, nessun appoggio dalle autorità competenti, non siamo stati tutelati - ha scritto la moglie su Facebook -. Lui voleva essere aiutato e tutelato vi rimarrà sulla coscienza a tutti. Ora i miei figli sono rimasti senza il loro adorato papà e io senza un marito. Vergognatevi tutti».
Pubblicato su Il Messaggero Veneto