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Michela Murgia è morta, addio alla scrittrice paladina dei diritti

L’autrice di «Accabadora» ed editorialista de La Stampa aveva 51 anni. Lo scorso maggio aveva dichiarato in un’intervista di avere un carcinoma renale

God Save the Queer. Michela Murgia è morta. La scrittrice si è spenta a Roma all’età di 51 anni a causa di un carcinoma renale. Già nel 2014, durante le elezioni sarde in cui era candidata presidente, le fu diagnosticato un tumore, da cui era guarita. Ci lascia una penna unica del movimento femminista in Italia e un’intellettuale influente. La sua «letteratura d’intervento» – come amava definirla – e il suo attivismo culturale sui social media hanno influenzato il dibattito pubblico, suscitando una riflessione critica su questioni cruciali come l’emancipazione femminile, l’immigrazione, i diritti delle persone LGBTQ+ e delle famiglie arcobaleno, solo per citarne alcune.

La vita prima di diventare scrittrice

Michela Murgia ha vissuto tante vite prima di dedicarsi alla carriera da scrittrice. Dopo aver completato gli studi all’istituto tecnico commerciale, ha svolto almeno cinque lavori diversi. Inizialmente, ha insegnato religione, poi si è impegnata nella vendita di multiproprietà. Successivamente, ha ricoperto ruoli come operatrice fiscale, dirigente amministrativa e portiera notturna. Inoltre, è stata conduttrice, editorialista e consulente social per il gruppo Gedi.

L’esordio letterario

Il suo primo libro è ll mondo deve sapere (ISBN edizioni, 2006), un romanzo tragicomico che dipinge la vita di una telefonista precaria. Originariamente pubblicato come un blog durante il periodo in cui Murgia prestava servizio in un call center della multinazionale Kirby Company, questo testo autobiografico narra la storia di un’impiegata sarda nel settore vendite dell’aspiratore Kirby. Attraverso gli occhi della protagonista, emergono le tecniche motivazionali di vendita, il mobbing sul lavoro, le dinamiche tra colleghi e superiori. La storia ha ispirato il film Tutta la vita davanti, scritto da Paolo Virzì e Francesco Bruni, nel quale Murgia ha partecipato alla stesura della sceneggiatura.

Il romanzo più importante

Ma è Accabadora (Einaudi, 2009) il romanzo che la consacra come scrittrice. Il testo racconta la storia di Bonaria Urrai, benestante e mai sposata, che vive a Soreni, un piccolo paese sardo. Urrai è un’accabadora, una figura tradizionale capace di offrire una morte pietosa ai malati terminali che lo desiderano, soprattutto anziani, attraverso un atto compassionevole di eutanasia. Il romanzo è stato tradotto in molte lingue straniere e ha ricevuto diversi premi prestigiosi, tra cui il Premio Dessì nella sezione narrativa nel settembre 2009, il SuperMondello nel maggio 2010 e il Premio Campiello nel settembre dello stesso anno.

Il linguaggio della resistenza culturale

Michela Murgia ha trasformato il linguaggio narrativo in un potente strumento politico di lotta e resistenza culturale. Nel 2011, pubblica per Einaudi Ave Mary. E la chiesa inventò la donna, un’opera critica che analizza il concetto di verginità e di maternità nella religione. Nel 2013 pubblica per Laterza il pamphlet contro il femminicidio L’ho uccisa perché l’amavo: falso! scritto a quattro mani con Loredana Lipperini. Una denuncia contro l’assurda e inaccettabile giustificazione di questo atroce crimine con la parola «amore». Nel 2015, sempre per Einaudi, l’autrice offre al pubblico Chirú, storia di un diciottenne che sogna di diventare artista e diventa «figlio d’anima» di Eleonora, un’attrice di 38 anni. Nel 2016, ancora per Einaudi, Murgia esorta ad assumersi la responsabilità di sognare il futuro con il pamphlet Futuro Interiore. Presso lo stesso editore torinese, la scrittrice pubblica il saggio politico Istruzioni per diventare fascisti che, tradotto in cinque lingue, analizza i pericoli del populismo e del totalitarismo. Nel 2019, esce Noi siamo tempesta per Salani, raccolta di storie illustrate sulla «collaborazione creativa, un superpotere che appartiene a tutti» (premio Morante e menzione speciale della giuria del premio Andersen). Nello stesso anno, insieme a Chiara Tagliaferri, pubblica per Mondadori la raccolta di racconti biografici Morgana, storie di ragazze che tua madre non approverebbe, tratta dall’omonimo podcast realizzato dalle due autrici su Storie Libere dal 2018.

La voce dei dimenticati

Michela Murgia non è stata solo una scrittrice ma anche una conduttrice radiofonica e televisiva, dando voce a coloro che spesso vengono dimenticati o marginalizzati dalla società. Dal settembre 2019 all’agosto 2020, conduce insieme a Edoardo Buffoni il TgZero su Radio Capital. Nella stagione televisiva 2016-17 partecipa alla trasmissione Quante storie di Rai 3 con una rubrica quotidiana di recensioni letterarie che le vale l’imitazione comica di Virginia Raffaele. Nel 2017 conduce Chakra su Rai 3, programma in cui «duella» su un tema di attualità, politica e cultura.

Dal gennaio 2021, Michela Murgia cura – prima donna a firmarla – L’Antitaliana, rubrica de L’Espresso nata negli anni ‘80 e precedentemente curata da Giorgio Bocca e Roberto Saviano. Nel 2020-21 lavora anche per i quotidiani del gruppo Gedi, come La Stampa e La Repubblica.

L’attivismo culturale sui social media

Michela Murgia si è affermata come una delle prime scrittrici italiane ad abbracciare i social media, per interagire direttamente con lettrici e lettori. Grazie a questa presenza attiva, ha conquistato migliaia di follower (130mila su Twitter, 460mila su Facebook e 530mila su Instagram), creando una connessione autentica con il suo pubblico.

Nel 2018, Murgia ha attirato l’attenzione sulle prime pagine dei due maggiori quotidiani italiani, il Corriere della Sera e Repubblica, denunciando attraverso i social network l’assenza di commentatrici e gli errori dei giornalisti sulla rappresentazione mediatica femminile. Queste riflessioni hanno trovato forma nel saggio Stai zitta, pubblicato da Einaudi nel 2021.

La formazione cattolica e l’incontro con Papa Francesco

La scrittrice ha avuto una formazione cattolica ed è stata anche animatrice nell’Azione cattolica. Una curiosità: nel 2004 a Loreto, al termine del pellegrinaggio religioso, ha ideato uno spettacolo teatrale al quale ha assistito anche papa Giovanni Paolo II. Più recentemente, nel giugno 2023, è stata ricevuta da Papa Francesco, al quale ha regalato il numero di Vanity Fair, diretto da lei, in cui ha condiviso la sua esperienza di famiglia queer. Le sue emozioni furono raccolte dalla rivista diretta da Simone Marchetti: «Durante il suo discorso bellissimo – raccontò la scrittrice – Papa Francesco ha fatto una distinzione tra la bellezza estetica, che ha chiamato “cosmetica”, un trucco nel senso dell’inganno, e la bellezza che produce armonia. Quando gli ho dato il giornale gli ho detto: “Santità, le lascio questo: parla di famiglie e di armonia in tanti tipi di famiglie”. L’intero discorso del Pontefice è stato molto prezioso, inedito, con l’invito a essere disturbanti, liberi e non conformi. Non era mai successo prima: né Giovanni Paolo II né Ratzinger avevano mai invitato gli artisti a essere scomodi».

Dal catechismo femminista alla famiglia queer

Ed è proprio il concetto di famiglie, al plurale, e di «queer» – tra l’altro – che l’autrice ha parlato in una delle sue ultime opere, Good Save the Queer. Catechismo femminista pubblicata nel 2022 dalla casa editrice Einaudi. Questa parola, originariamente usata come un termine dispregiativo equivalente a «frocio» in italiano, ha subito una trasformazione significativa negli anni Settanta, specialmente in Inghilterra.

Il termine «queer» (letteralmente, «strano», «bizzarro») è stato riconquistato e riappropriato con orgoglio dalla comnità LGBTQ+ per descrivere coloro che non si identificano come eterosessuali o cisgender (cioè in armonia con il sesso assegnato alla nascita). La parola è diventata un potente strumento di interpretazione della realtà, sfidando le rigide categorie binarie di maschile e femminile, oltre alle tradizionali etichette di eterosessuale e omosessuale. Il suo significato si estende ben oltre l'orientamento sessuale, sostenendo il diritto di ogni individuo di essere libero da definizioni o etichette imposte dalla società. Con la sua opera, Michela Murgia abbraccia il concetto di «queer» come un’opportunità per liberare il pensiero dai limiti imposti dalla cultura dominante e per promuovere una visione più aperta e inclusiva dell'identità e delle relazioni umane. Attraverso un approccio femminista, l’autrice invita a mettere in discussione le norme di genere e a considerare la diversità come una ricchezza da abbracciare, rompendo con il binarismo e liberando la fluidità di ogni identità.

Il matrimonio con Lorenzo Terenzi e la festa senza giornalisti

«Sposo un uomo ma poteva anche essere una donna» aveva dichiarato il giorno del matrimonio civile con Lorenzo Terenzi, 35enne attore, regista e musicista e diplomato al Teatro Stabile di Genova: «Lo abbiamo fatto in articulo mortis – spiegò la scrittrice direttamente su Instagram, senza coinvolgere i giornalisti – perché ogni giorno c’è una complicazione fisica diversa, entro ed esco dall’ospedale e ormai non diamo più niente per scontato». Murgia ha condiviso sui social il video dell’atto con la colonna sonora di Nobody's Wife (Moglie di nessuno) di Anouk.

Dopo il matrimonio contratto «per avere diritti che non c’era altro modo di ottenere rapidamente», la scrittrice ha celebrato con una festa nel giardino della sua nuova casa romana, la sua idea di famiglia. Un atto politico sulla genitorialità comunicato direttamente sui social, ancora una volta bypassando i giornalisti. In passato, la scritrice era stata sposata con Manuel Persico, un informatico bergamasco, dal 2010 al 2014.

Pubblicato su Il Messaggero Veneto