Anna Foglietta in scena a Pordenone con “L’attesa”: «Il teatro italiano è maschilista»
L’attrice con Paola Minaccioni e Michela Cescon da oggi al Verdi di Pordenone: «Mancano autrici giovani che parlino alla propria generazione senza filtri»
Anna Foglietta non usa diplomazia e sentenzia: «Il sistema del teatro italiano è maschilista, i cartelloni sono sbilanciati».
I due anni di tour de “L’attesa”, un testo di Remo Binosi che fece la storia e ora ripreso con successo ovunque dopo un paio di decenni di silenzio, porta peso sul piatto femminile della bilancia. Due attrici e una regista — Anna, certo, Paola Minaccioni e Michela Cescon — tutte donne molto amiche che si ritrovarono a decidere per un ripescaggio di una vicenda sensibile, settecentesca, ma con tematiche moderne come si conviene a una certa prosa antica che ha sempre saputo guardare oltre il suo presente.
La pièce sarà sul palco del Verdi di Pordenone oggi, venerdì 10 e domani, sabato 11, alle 20.30, mentre domenica è prevista una pomeridiana alle 16.30.
Anna, una scelta non casuale la vostra. Alimentata dalla profondità della conoscenza personale e dalla consapevolezza che una tematica così specifica possa scuotere coscienze dormienti.
«Infatti cercavamo un’opera che radunasse i desideri di noi artiste, ma soprattutto di noi donne. Latitano le protagoniste in scena, è una realtà, così come spesso non ritroviamo sul palcoscenico quelle parole importanti che ti seguono anche quando esci dalla sala».
La drammaturgia contemporanea fatica a imporsi, vuoi per la scarsità di autori, vuoi per la concorrenza feroce dei classici che furoreggiano nei cartelloni degli Stabili.
«Una cosa va detta subito: parti femminili di rilievo ce ne sono pochissime. “L’attesa” è un caso isolato. Mancano le autrici giovani che sappiano parlare alla propria generazione senza filtri, c’è bisogno di istigarle a creare. Io ho 43 anni e un vissuto artistico alle spalle che mi consentirebbe anche di rallentare, ma certe battaglie vanno affrontate».
Però in questo periodo di donne al potere ne abbiamo, e diciamo Meloni e Schlein. Qualche passo avanti, no?
«Sicuramente è un bel momento. Godiamocelo. Non siamo giunti ancora al capolinea. C’è da sudare e c’è da lavorare. Credo sia arrivato il tempo di fare i maschi. E lo dico con convinzione».
Affrontiamo in modo più specifico la vicenda de “L’attesa”, le va Foglietta?
«Volentieri. La nobildonna Cornelia, destinata a diventare moglie del Duca di Francia, vive relegata in una villa perché incinta di un altro uomo e affiancata dalla sua serva Rosa, anche lei in attesa. La contessa è vittima di un abuso e le sue condizioni esistenziali sono compromesse. Fra loro nascerà un’amicizia solida che andrà ben oltre i confini delle classe sociali. Emergerà la solitudine di due anime in fondo sole e verrà celebrato l’amore, nel senso più puro del significato. Le tematiche de “L’attesa” sono tantissime: il piacere, la maternità, il peccato, la femminilità, il male, la morte, la seduzione. È dramma, ma è anche commedia. Due voci, ma un solo punto di vista».
La politica non è quasi mai clemente con la cultura. Se c’è qualcosa da tagliare, zac, è l’arte a finire sulla ghigliottina. E questo continua a rappresentare un problema.
«Assolutamente. La cultura è trattata alla pari di un malato terminale. Insistiamo a far capire quanto il bello di teatro, cinema e musica rappresenti una necessità per l’uomo. L’educazione dovrebbe iniziare dalla scuola, una conoscenza vissuta come un’esigenza non come un accessorio».
Il teatro resta comunque uno dei capisaldi del pensiero.
«E meno male! Perché molte volte l’esperienza non finisce appena si chiude il sipario, prosegue a lungo. Ci sono degli spettacoli che da anni mi vivono addosso. Ed è incredibile la resistenza della prosa al panzer digitale che tutto cancella in nome di una supremazia ormai totale».
Pubblicato su Il Messaggero Veneto